La COP30 di Belém in Brasile era stata annunciata come la “COP della verità e dell’implementazione”. A dieci anni dall’Accordo di Parigi, il vertice avrebbe dovuto segnare un momento decisivo per trasformare gli impegni climatici assunti in azioni concrete.
Dopo due settimane di negoziati intensi, i rappresentanti di quasi 200 Paesi presenti hanno raggiunto un accordo che dimostra come il multilateralismo resti vivo, nonostante un contesto geopolitico complesso. Tuttavia, la sostanza del testo rimane lontana dal livello di ambizione richiesto dalla scienza e da un’ampia parte della comunità internazionale per lottare contro i cambiamenti climatici.
In questo articolo spieghiamo cosa sono le COP e facciamo il punto sugli esiti della trentesima edizione che si è tenuta dal 10 al 22 novembre 2025.
Cosa sono le COP?
Le Conferenze delle Parti (COP) sono le riunioni annuali dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Riuniscono quasi tutte le nazioni del mondo e rappresentano il principale vertice internazionale in cui i Paesi definiscono decisioni comuni e regole per guidare l’azione climatica globale.
Ogni Stato che partecipa alla COP è rappresentato da una delegazione composta da ministri, negoziatori, diplomatici ed esperti tecnici. Accanto alle delegazioni statali operano gli osservatori accreditati (ONG, comunità indigene, centri di ricerca, imprese, sindacati, ecc.) che, pur non avendo un ruolo negoziale, possono seguire molte sessioni e intervenire in momenti dedicati, contribuendo così a garantire la trasparenza e l’inclusività.
Durante le COP, il processo decisionale si basa sul principio del consenso. Non esistono votazioni a maggioranza né soglie minime: ogni decisione deve essere approvata all’unanimità.
Questo meccanismo assicura pari legittimità a tutti gli Stati, indipendentemente dal loro peso geopolitico, ma spesso porta a compromessi al ribasso quando gli interessi in gioco entrano in conflitto.
COP30: un vertice simbolico a dieci anni dall’Accordo di Parigi
La COP30 ha avuto un forte valore simbolico. Coincideva con il decimo anniversario dell’Accordo di Parigi, il trattato che impegna gli Stati firmatari a contenere il riscaldamento globale “ben al di sotto dei 2°C” e a proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.
In questo contesto, il vertice di quest’anno era stato presentato come la “COP dell’implementazione”, il momento in cui gli impegni presi nel 2015 avrebbero dovuto tradursi in nuovi passi operativi.
Il Brasile aveva inizialmente promesso una COP capace di rilanciare l’azione globale e di affrontare nodi irrisolti come l’uscita progressiva dai combustibili fossili e la protezione delle foreste tropicali.
Le aspettative erano dunque alte. Tuttavia, la COP30 ha messo in luce la fragilità del multilateralismo climatico, segnato da tensioni geopolitiche come l’assenza degli Stati Uniti ai negoziati, l’assertività dei Paesi produttori di combustibili fossili e le divisioni tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Queste dinamiche hanno reso difficile trovare compromessi ambiziosi e spiegano in larga parte il divario tra le aspettative iniziali e l’esito finale dei negoziati.
Le principali decisioni della COP30
La COP30 si è conclusa il 22 novembre con l’approvazione della Global Mutirão Decision, il testo finale che definisce le priorità dell’azione climatica internazionale per i prossimi anni. Pur meno ambizioso del previsto, include iniziative pensate per attuare l’Accordo di Parigi. Tra queste figurano:
- il lancio del Global Implementation Accelerator per accelerare l’attuazione degli impegni climatici;
- la triplicazione dei finanziamenti per l’adattamento climatico con l’obiettivo di sostenere le popolazioni più esposte agli impatti dei cambiamenti climatici;
- la creazione del Belém Mechanism for Just Global Transition, un strumento politico e tecnico per sostenere i Paesi — soprattutto quelli in via di sviluppo — nel passaggio verso economie a basse emissioni senza creare nuove disuguaglianze sociali o economiche;
- l’adozione di nuovi indicatori per misurare i progressi globali sulla resilienza, nell’ambito del Global Goal on Adaptation; e
- il lancio del Technology Implementation Program (TIP), con una roadmap per rafforzare l’implementazione delle tecnologie climatiche nei Paesi in via di sviluppo.
Il nodo dei combustibili fossili rimasto irrisolto
Il punto più criticato della Global Mutirão Decision riguarda i combustibili fossili. Nel testo non compare alcun impegno a ridurre o eliminare l’uso di petrolio, gas e carbone, nonostante il consenso scientifico sulla loro responsabilità nel riscaldamento globale.
Durante i negoziati, oltre ottanta Paesi avevano proposto di includere una roadmap per l’abbandono graduale delle fonti fossili. Sarebbe stato un passo avanti rispetto alla COP28 di Dubai, dove si era riconosciuta per la prima volta la necessità di “abbandonare gradualmente i combustibili fossili”, senza però indicare tempi o modalità. A Belém si sperava di inserire finalmente questa indicazione nel documento finale.
Tuttavia, la proposta è stata bloccata dai grandi produttori di idrocarburi. Per evitare che il negoziato fallisse, molti Paesi hanno accettato un compromesso più debole. Il risultato è un accordo che parla di accelerare l’azione climatica, senza affrontare direttamente la questione delle fonti fossili.
Le iniziative parallele che provano a colmare le lacune dell’accordo
Accanto a un accordo finale giudicato poco ambizioso, la COP30 ha visto emergere iniziative parallele promosse dalla presidenza brasiliana e da un gruppo di Paesi intenzionati a non rimanere fermi di fronte allo stallo negoziale.
Il Brasile ha annunciato due roadmap sulla transizione dai combustibili fossili e sulla lotta alla deforestazione, da sviluppare nei prossimi dodici mesi con un processo basato sulle evidenze scientifiche.
Tra le iniziative lanciate a Belém figura anche il nuovo Tropical Forests Forever Facility, un fondo internazionale creato dal Brasile per sostenere economicamente i Paesi che proteggono le foreste tropicali.
Pur restando esterne al testo della Global Mutirão Decision, queste iniziative mostrano che una parte crescente della comunità internazionale non intende rassegnarsi alla lentezza del processo multilaterale.
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